4 Luglio 2013
CRISI: IN MANI STRANIERE MARCHI ITALIANI STORICI PER 10 MLD

Sono passati in mani straniere marchi storici dell’agroalimentare italiano per un fatturato di almeno 10 miliardi di euro dall’inizio della crisi, che ha reso più facili le operazioni di acquisizione nel nostro Paese, dall’Orzo bimbo agli spumanti Gancia, dai salumi Fiorucci alla Parmalat, dalla Star al leader italiano dei pomodori pelati finito alla giapponese Mitsubishi, ma nel 2013 è stato ceduto anche il 25 per cento del riso Scotti, mentre per la prima volta la produzione di vino Chianti nel cuore della Docg del Gallo Nero è divenuta di proprietà di un imprenditore cinese. È quanto emerso, tra l’altro, da uno studio presentato all’Assemblea nazionale Coldiretti, cui hanno partecipato anche centinaia di imprenditori agricoli umbri, dove è stato allestito “Lo scaffale del Made in Italy che non c’è più” dal quale si evidenzia che nel mondo c’è fame d’Italia con una drammatica escalation nella perdita del patrimonio agroalimentare nazionale.
“I grandi gruppi multinazionali che fuggono dall’Italia della chimica e della meccanica investono invece nell’agroalimentare nazionale perché, nonostante il crollo storico dei consumi interni, fa segnare il record nelle esportazioni grazie all’immagine conquistata con i primati nella sicurezza, nella tipicità e nella qualità” ha affermato il presidente nazionale della Coldiretti Sergio Marini. “Un processo - ha aggiunto tra l’altro Marini - di fronte al quale occorre accelerare nella costruzione di una filiera agricola tutta italiana che veda direttamente protagonisti gli agricoltori per garantire quel legame con il territorio che ha consentito ai grandi marchi di raggiungere traguardi prestigiosi”.
Secondo un sondaggio on line condotto sul sito Coldiretti i cui risultati sono stati resi noti all’Assemblea di oggi - commenta il presidente di Coldiretti Umbria Albano Agabiti - più di otto italiani su dieci, cercano di riempire il carrello della spesa con prodotti italiani al cento per cento e di questi ben il 53 per cento li preferisce anche se deve pagare qualche cosa di più. La tendenza degli italiani a preferire prodotti Made in Italy si scontra tuttavia - continua Agabiti - con la cessione di marchi storici nazionali a gruppi stranieri, ma anche con la mancanza di trasparenza dell’informazione che consente di spacciare come nazionali prodotti che non hanno nulla a che vedere con la realtà produttiva agricola della penisola.
L’agricoltura - aggiunge Alberto Bertinelli direttore Coldiretti Umbria - non ha solo una funzione economica ma anche sociale ed ambientale che migliora la qualità della vita di tutti i cittadini in termini di sicurezza, coesione, relazioni, paesaggio ed in generale aiuta a stare bene. Una serie di funzioni pubbliche a vantaggio della collettività, componenti che in un momento di crisi valgono molto e che sono l’unica e vera motivazione per cui l’agricoltura merita una particolare attenzione. Anche per questi motivi, è nato il progetto per una filiera agricola tutta italiana promosso da Coldiretti e da Campagna Amica con il marchio valoriale FAI (Firmato dagli agricoltori Italiani) per garantire in Italia e all’estero tutti quei prodotti provenienti al 100 per 100 dai campi e dagli allevamenti italiani che rispettano l’etica nei processi produttivi e assicurano per contratto una equa ripartizione del valore tra i vari attori della filiera. Anche in Umbria Coldiretti è impegnata verso la valorizzazione delle principali filiere produttive, che accorciando le distanze tra chi produce e i consumatori finali, cercano di ridare la giusta dignità al settore avvicinandosi alle esigenze della collettività.
Come ricordato oggi dal presidente Marini - concludono Agabiti e Bertinelli - da anni si parla di internazionalizzare le imprese facendo massa critica, ma se il modello di sviluppo vincente è quello di portare le diversità nel mondo è evidente che dobbiamo sostituire per prima cosa il termine di massa critica con quello di rete di imprese e quello di piattaforma logistica con quello di piattaforma leggera che porta i territori nel mondo. Per noi il vecchio modello di internazionalizzazione è completamente superato perché oggi abbiamo una rete di imprese che deve essere accompagnata nel mondo con una infrastruttura leggerissima, valorizzando e non omologando le particolarità che sono i veri punti di forza. Finalmente quasi tutti hanno capito che il chilometro zero, oltre a creare economia e socialità, è stato uno strumento straordinario per riscoprire i nostri territori e valorizzare le distintività per conquistare il mondo che è il nostro mercato. Quando noi siamo faticosamente andati contro corrente nel riaffermare il valore del chilometro zero, della vendita diretta e del concetto di filiera corta abbiamo di fatto riaffermato un nuovo modello economico e un nuovo stile di consumo che coniugasse il valore economico ed occupazionale con una prospettiva di futuro.